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DECAMERINO 10° Giorno - TORE 'E CRESCIENZO, il primo camorrista - Romanzo - Ass. Cala Felci

DECAMERINO 10° Giorno – TORE ‘E CRESCIENZO, il primo camorrista – Romanzo

Siamo giunti al DECIMO GIORNO  di questa carrellata in tempo di Corona Virus e questa volta Vi propongo il mio ultimo romanzo, di cui per gentile concessione della casa Editrice Ali Ribelli, pubblico l’incipit.

TORE ‘E CRESCIENZO, IL PRIMO CAMORRISTA

Capitolo primo

La partenza

Era ancora buio quando lo vennero a prendere. Il capoturno reggeva la lanterna e cercava d’illuminare la serratura per permettere alla guardia d’infilare la grossa chiave e aprire la cella. «Mannaggia ‘a morte! Ma sto buco ‘u trovo o no?» «Ma che vuo’ truvà, ca c’amme fatte vecchie e ‘o buco no sapimme chiù truvà! Mannaggia ai giacubini e ai liberali!» «Ma qua’ giacubine, chiste è ‘u capintesta Tore ‘e Crescienzo.» «Vuje che dicite?! E quanno l’hanno chiuso? Io nun aggio saputo niente.» «L’ordine è arrivato ieri sera. L’avimma avuta levà d’o camerone per mezzo d’o fatto che succedette… Aniello Ferrigno… ‘o stutaine.» «E che centra Tore ‘e Crescienzo? Pe’ chelle che saccio io, Aniello Ferrigno è stato stutato a seguito di regolare sentenza del Tribunale della Gran Mamma e non m’arrisulta che sia stato presieduto da Tore ‘e Crescienzo. Nun sarebbe stato opportuno, Tore era parte in causa. Ferrigno aveva offeso ‘a figlia ‘e Tore.» «Sì, vabbuò, comme fuje e comme nun fuje, l’ordine arrivaje e mo’ ‘o ‘mbarcamme pe’ Ponza.» Alla fine, la pesante porta si aprì e la luce sporca della lanterna invase la cella. Dentro, seduto sul tavolaccio, c’era Salvatore De Crescenzo, detto Tore ‘e Crescienzo: ‘o maste, il capo supremo della Bella Società Riformata. Il capintesta della camorra napoletana! «Vado sulo a chesta cazze ‘i Ponza?» domandò stizzito Salvatore. «Avimme pensate ‘i ve fa accumpagnà da Dumminico Mezzarecchia» disse don Ciccio Stecchino, il caporale delle guardie del carcere di Castelcapuano. «Chille tene ‘na grande devozione per voi e poi a Ponza già c’è stato, conosce l’ambiente. E pure vuje me pare che lo benvolete. Sta già pronto vicino ‘a carretta. Avimme pure caricato ‘na casciulella co’ i vestiti vostri. ‘O sapimme che ci tenete all’eleganza, ma erane troppe, nun ce trasevene dinte ‘o sacco» concluse, quasi amorevolmente. Don Salvatore annuì e si accinse a prendere le sue cose spicciole. «Iamme, facimme ambresse che se fa tardi» lo esortò don Ciccio, fingendosi autoritario mentre lo aiutava a riempire il sacco di tela grezza. Quando scesero verso il cortile del carcere sotto alla luce ondeggiante della lanterna, si levò un rumore sordo, come un’onda cadenzata, sempre più forte. Poi smise di colpo. Erano arrivati davanti alla carretta. Mezzarecchia, che pure era un caposocietà, appena lo vide gli andò incontro. Nonostante avesse i ferri ai polsi, prese il sacco con gli effetti personali di don Salvatore, ma non prima di aver tentato di baciargli le mani, che questi, in forza di un rituale consolidato, fece finta di ritrarre. Al fianco della carretta v’erano quattro soldati su cavalli che a Tore sembrarono altissimi. Erano lancieri di Novara: la sua scorta fino al molo dell’Immacolatella. Don Salvatore, a cui nel frattempo avevano messo i ferri, salì sulla carretta. Mezzarecchia lo seguì e si accomodò di fronte a lui. Il cocchiere prese in mano le redini e con un lungo «Aaaah!» la carretta si avviò verso l’uscita. Proprio in quel momentoun lungo fischio, un sibilo modulato con tonalità e intensità variabile, si levò dal buio, rotto solo dalle poche lanterne sotto gli androni: il “sordeglino”! Era il saluto della Bella Società Riformata ospite di Castelcapuano al Capo dei Capi. A Napoli è anche un antichissimo richiamo d’amore. Salvatore levò in alto le mani serrate dai ferri, in segno di risposta, ma nessuno poteva vederlo.

***

Man mano che si avvicinavano al mare l’aria diventava sempre più pulita. I miasmi dei vicoli cedevano il passo ai suoi profumi. Anche i cavalli sembravano voler godere di quell’odore di pulito: le loro froge aspiravano quell’aria fresca, frizzantina e odorosa con una certa forza, che dava l’impressione netta che le bestie ne godessero. Le campane suonavano il mattutino, mentre le popolane andavano in gruppi verso la chiesa di San Giovanni a Mare per il settenario della Madonna del Carmine. Quando la carretta sbucò sulla strada della Marina, le prime luci del giorno inondavano radenti le alberature dei bastimenti nel porto, che spuntavano oltre il muro della dogana. Qua e là neri e densi pennacchi di fumo si alzavano lenti verso il cielo. Era una di quelle mattine di luglio in cui non tirava un alito di vento. Dai varchi si vedevano tratti di mare immobile e liscio come l’olio. Quando arrivarono sul molo dell’Immacolatella mancava ancora qualche minuto alle sei. C’era già la carretta del carcere di Santa Maria Apparente, Tore ne riconobbe il cocchiere. L’aveva utilizzato in qualche occasione per inviare palummelle ai compagni detenuti in quel carcere. Chissà se ha accompagnato qualche condannato all’ergastolo di Santo Stefano o un relegato a Ponza, si domandò. Poi fu distratto dalla voce del cocchiere della sua carretta. «Don Salvato’, i fierre ve li leveranno i Carabinieri a bordo, dopo la partenza del vapore.» Casse di legno di ogni forma e dimensione, sacchi, botti e damigiane erano allineate lungo i bordi del molo. Il vapore a ruote Palinuro della Compagnia di Navigazione “Ischia – Procida”, adibito al collegamento settimanale con le isole Ponziane, vibrava e ansimava: la caldaia era già sotto pressione. La colonna di fumo nero si levava dal fumaiolo in mezzo ai due alberi, lenta e densa. Una processione di facchini, scalzi e a torso nudo, si snodava tra il molo e la nave per caricarvi la merce in attesa d’imbarco lungo i bordi della banchina. Tutti, come una divisa, portavano in testa un sacco di tela grezza, piegato a metà a mo’ di cappuccio e ricadente sulla schiena. Serviva a proteggere collo e spalle da eventuali abrasioni ed ematomi provocati dal peso degli oggetti trasportati. A bordo, secondo un arcano criterio, un uomo in divisa smistava le mercanzie che i facchini, incappucciati e sudati, imbarcavano a ritmo costante. I cocchieri delle due carrette chiacchieravano tra loro e ogni tanto volgevano lo sguardo verso don Salvatore. Probabilmente parlavano di lui. Al fianco della scaletta d’imbarco, i lancieri dialogavano con i carabinieri. Dopo essersi salutati militarmente, i lancieri risalirono a cavallo e due carabinieri si staccarono dal gruppo per andare verso la carretta. A un cenno del graduato, don Salvatore e Mezzarecchia scesero e si avviarono verso la passerella del Palinuro, seguendolo. Sulla passerella, Salvatore si voltò indietro. Sperava di scorgerequalcuno della sua famiglia, anche se la persona che desiderava davvero vedere era solo Carolina, sua figlia. Era una bellissima mattina d’estate, ma Carolina non c’era.

Capitolo secondo

La centrale

Villa Patrizi, appena fuori Porta Pia, era uno dei luoghi dove più di frequente si riunivano i dirigenti borbonici camuffati dietro una cosiddetta Associazione Religiosa fondata dallo zio di Francesco II, il conte di Trapani. Era un comodo paravento dietro il quale si nascondeva la “Centrale” del movimento partigiano filoborbonico. Era una calda mattina di luglio, la stagione più propizia alle azioni di guerriglia che i briganti del re sferravano con sempre maggiore insistenza in ogni parte del Regno. Più intense erano quelle nelle zone montuose, favorite dalla scarsità di strade e dall’appoggio delle popolazioni montanare e contadine da sempre fedeli alla causa borbonica; a maggior ragione ora che i liberali filopiemontesi si erano impossessati delle terre demaniali, che durante il periodo borbonico erano invece liberamente coltivate dai contadini. I generali Clary, Statella, Vial e Bosco stavano animatamente discutendo intorno a un grande tavolo di marmo rosso su cui era srotolata una carta topografica del confine sud dello Stato Pontificio, o meglio di quello che ne restava dopo le mutilazioni subite a seguito delle annessioni dei Savoia. In particolare sembravano concentrati sulla valle del fiume Liri. Gennarino, il fedele servitore di Casa Borbone, impalato sulla porta…

Bene amici purtroppo qui non possiamo andare oltre…ma per chi fosse interessato a leggerlo in e-book contattare il link di seguito. Inoltre  il libro in cartaceo è disponibile presso le librerie:Alges a Gaeta, L’ultima spiaggia a Ventotene, Il Brigantino e Ricciolino a Ponza, Fuori Quadro a Formia (consegna a domicilio), libreria Tuttoscuola Sicconi a Latina.

BUONA LETTURA

Franco Schiano

https://www.aliribelli.com/prodotto/tore-e-crescienzo-il-primo-camorrista/

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