A quel tempo cellulari e internet erano ancora nella mente di Dio. Il telefono certo esisteva, ma sull’isola credo fosse ancora un oggetto sconosciuto. Per le comunicazioni urgenti c’era il telegrafo che però veniva usato con molta parsimonia. Nascite, morti, auguri, condoglianze, appuntamenti, e poche altre comunicazioni stringate e ridotte all’osso. Comunque era un mezzo costoso e senza privacy inadatto a comunicare notizie, sentimenti e questioni afferenti la sfera personale e familiare.
La posta rimaneva di fatto il più diffuso, quasi esclusivo, mezzo per comunicare. Per dare e ricevere notizie, per scambiarsi pensieri e, perchè no, affettuosità non rimaneva che la lettera. Gli innamorati si scambiavano lettere colorate e profumate, se stavano in Italia. Se invece uno dei due si trovava oltre oceano si usava la speciale carta leggerissima per la posta aerea.
Chi ha vissuto quel tempo non può dimenticare quelle buste bordate bianco rosso e blu con le scritte AIR MAL, Par avion e Correo Aereo. Esse erano il principale legame tra i ponzesi rimasti sull’isola e quelli emigrati nelle lontane americhe, come allora si usava dire riferendosi sia al Nord che al Sud America.
Spesso in queste lettere erano compiegati qualche dollaro o quale pesos, oppure la famosa check, che poi si andava a cambiare da Don Peppino Di Monaco che era il corrispondente del Banco di Napoli a Ponza.
Da adolescente, ogni volte che le vedevo, come un riflesso condizionato esse solleticavano la mia fantasia e suscitavano in me, forte, il desiderio di avventure in quelle terre lontane. Le immaginavo ancora popolate da cow boy e indiani impegnati in epiche battaglie contro le giacche blue del Generale Custer.
Adesso per posta arrivano solo bollette, ingiunzioni,pubblicità e poche altre cose, che a Ponza vengono consegnate quando capita.
Ma questa è un’altra storia, che però mi porta a ricordare di quando il postale arrivava solo tre volte la settimana.
Già il postale! Si, perchè la cosa più importante era la posta. Infatti allora nell’importo complessivo della sovvenzione Statale di cui la SPAN beneficiava per i collegamenti con le isole era molto consistente la voce relativa al servizio postale, proprio a sottolinearne l’importanza.
Delle tre volte settimanali, due erano da Gaeta via Santo Stefano (dove c’era il famoso ergastolo) e Ventotene e l’altra da Napoli con tappe a Procida, Ischia porto, Casamicciola, Lacco Ameno, Foria (in questi ultimi due porti però u vapore si fermava solo se vedeva la bandiera sociale inalberata sulla biglietteria e che indicava che c’erano passeggeri o merce per le isole), Santo Stefano, Ventotene e infine Ponza.
I viaggi duravano rispettivamente 5 e 7 ore e si arrivava a Ponza sempre verso sera.E per avere l’agognata posta bisognava attendere il giorno dopo!!!
Un supplizio troppo grande per quel tempo in cui non c’era una famiglia ponzese che non contasse almeno un emigrato. La fame di notizie e non solo, era tanta, ma proprio tanta ed erano troppe le persone che aspettavano quelle buste tricolori con ansia spasmodica.
Allora don Silverio Capone, il mitico postino di quei tempi – forse memore di essere stato lui stesso emigrante nel secondo decennio del novecento – si inventò la distribuzione della posta la sera stessa dell’arrivo del postale. La distribuzione avveniva sotto al Municipio (che poi era anche sotto l’ufficio postale che come molti ricorderanno fino a pochi anni fa stava in quelli che ora sono diventati uffici comunali).
Poco dopo l’orario d’arrivo, un numero sempre crescente di persone cominciava ad ammassarsi in Piazza, mentre don Silverio in ufficio procedeva con esperienza e maestria allo smistamento della posta arrivata di fresco dal continente. Dopo circa un’oretta scendeva con suo borsone di cuoio traboccante di buste e si piazzava sotto l’arco centrale del palazzo, dava un’occhiata in giro per cercare con lo sguardo – tra la folla, che nel frattempo era diventata imponente – le persone fortunate.
A quel punto la piazza di ammutoliva, cessava come per incanto il brusio creato da tante persone insieme, e, don Silverio cominciava a chiamare le persone che quella sera sarebbero tornate a casa col conforto di una notizia e magari anche quello di qualche dollaro.
Man mano che il borsone si svuotava la folla defluiva e in piazza rimanevano sempre meno persone. A un certo punto don Silverio si fermava dava un sguardo alla folla per vedere chi era rimasto ancora in attesa di essere chiamato e ad alcuni per i quali sapeva che non c’era posta faceva con la mano un segno che significava: “per te non c’è niente!”. A quel punto il destinatario del gesto poco gradito, a capo chino, lasciava il gruppo e si avviava mogio mogio verso casa. In qualche caso il destinatario del diniego, prima di avviarsi, timidamente con un filo di voce, chiedeva se c’era posta per qualche suo parente o vicino di casa. Se c’era, don Silverio procedeva volentieri alla consegna sicuro di non sbagliare, profondo conoscitore com’era della gente di Ponza e dei legami di parentela o amicizia esistenti. Se alla domanda corrispondeva una risposta positiva, il primo ad esserne felice era proprio don Silverio.
Se non c’era posta neanche per il vicino o la parente. La sconfitta era totale. Una giornata da dimenticare.
Don Silverio Capone detto anche don Silverio u pustiero era quello che a Ponza si chiama una degna persona, sempre disponibile e sorridente. Quando ti portava la raccomandata con la check o qualunque altra missiva che secondo il suo infallibile fiuto conteneva buone nuove, te la consegnava con una gioia sincera e palpabile. Al contrario di quando intuiva che che le notizie non erano buone. Il primo a dolersene era lui. Non era un impiccione, era solo una persona perbene che partecipava sinceramente alla gioia e al dolore dei sui concittadini.
Don Antonio Capone, morì nel 1949 all’età di 58 anni. Gli successe il figlio Vincenzo, che continuò il mestiere del padre con lo stesso stile.