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DECAMERINO 16° Giorno - Napoli 1881 - Romanzo - di Rita Bosso - Ass. Cala Felci

DECAMERINO 16° Giorno – Napoli 1881 – Romanzo – di Rita Bosso

Siamo giunti al sedicesimo giorno di questo nostro Decameron in salsa ponzese.Oggi vi proponiamo due capitoli di un bellissimo romanzo di Rita Bosso pubblicato solo ini formato e-book

NAPOLI 1981

di Rita Bosso

Finalista al Torneo Letterario IO SCRITTORE

 

 1.

So’ Bambenella ‘e copp’  ‘e Quartieri

Pe’ tutta Napule faccio parlà

Quanno annascusa p’ ‘e vicule, ‘a sera

‘ncopp ‘o pianino me metto a ballà.

 

-E che miseria, è proprio ‘nu  petagno!- ha sbuffato Gennaro dopo che se ne sono andati.

-Traduci-

-Pedagno. Che è, non lo sai che è un pedagno? E’ il piombo dove  si ancorano le boe,  quello che si mette sul fondale. Un bel pezzo di piombo pesante. Voi come lo chiamate?-

Uno lo deve capire a Gennaro, viene da Procida.

-Marò, Gennaro! Si vede che sei abituato a stare con le cafuncelle di paese, e quando ti capita di avere a che fare con una guagliona di città, una che nientedimeno è stata un anno a Bologna, non apprezzi- ho risposto prendendolo sottobraccio.  E’ scoppiato a ridere, e attraversando piazza Dante  a quell’ora deserta abbiamo riso ancora di più  per la storia dell’autobus.

Il petagno ha fatto i primi due anni di Medicina a Bologna e dunque tre delle due parole che dice sono per informarci di quant’è organizzata la mensa di Bologna mentre questa, com’è civile Bologna e qua invece, come funzionano gli autobus a Bologna mentre ieri per salire da Piazza Dante al Secondo Policlinico ha dovuto aspettare il  centonove dalle otto alle nove e un quarto.

E’ stato allora che Gennaro l’ha guardata serio serio e anziché chiedere ma perché sei venuta in questa munnezza di città se stavi tanto bene a Bologna ha fatto

-Ma è alle nove e un quarto che deve passare il centonove, anzi alle nove e quattordici. Non lo sapevi?-

Ci sarebbe stato bene un  Emmochecazzovuoi? conclusivo che infatti puntualmente è arrivato, muto ma inequivocabile: occhi strabuzzati per l’incredulità, mento puntato in alto, scrollata di spalle e poi sguardo rivolto all’infinito, altero e oltraggiato.

Siamo scoppiati a ridere Antonio e io, la bolognese di Atripalda ha concesso un sorriso, Gennaro è rimasto serio solo perché non aveva uno specchio davanti sennò sarebbe crollato pure lui.

Ho incrociato gli occhi di Antonio, un’esplosione di scintille dorate nell’ambra. Il resto lo avevo notato prima, quando erano arrivati in pizzeria, ed era un resto notevole. Petagno a parte, s’intende.

Mi sono girata di scatto: e che, mo’ ci mettiamo a guardare pure gli occhi dei ragazzi accoppiati? L’ultima spiaggia dello zitellaggio. L’ultimo stadio della disperazione.

 

Sinceramente a me Antonio pare sprecato con la bolognese di Atripalda perché è pure simpatico. Infatti la serata è stata divertente nonostante il petagno.

Sedersi per una pizza ai tavolini di piazza Bellini è un lusso che non tutte le settimane ci possiamo permettere ma quando si può, quando la serata è ‘na sera ‘e maggio, embè allora bisogna proprio ammettere che si è fortunati a stare lì, al centro del mondo, a piegarci in due per le risate e a respirare primavera a pieni polmoni.

 

Magari il petagno tiene un motivo in più per sentirsi fortunata ma mo’ che faccio, mi metto a invidiare quel cato di colla solo perché tene nu bellu guaglione vicino?

A Portalba una fisarmonica suonava Bambenella ‘e copp’ ‘e Quartieri, mi sono messa a cantare a modo mio che è il modo di chi è intonata ma non tiene voce, dunque ogni tanto mi fermo e i versi che non riesco a cantare li recito.

Al suonatore è piaciuto, Gennaro mi ha fatto fare un giro di ballo ed intorno a noi si è radunata un po’ di gente. Sempre così, non so se capita pure a Brescia e a Varese ma a Napoli appena ti metti a ballare subito ti trovi un cerchio di gente intorno, anche se fino ad un attimo prima la strada era deserta.

Alla luce scarsa dei lampioni gli occhi di Antonio erano miele con dentro fuochi d’artificio dorati. Allora mi sono fermata ed ho detto che si era fatto tardi.

Ci siamo salutati, io e Gennaro verso casa mia a via Conte di Ruvo, loro due verso via Tarsia dove la pizza di oggi ad otto ha una stanza.

-A letto la bolognese sarà una guerra – ha commentato Gennaro, perché una spiegazione  ai misteri della vita uno deve pure trovarla ed abbiamo  chiuso l’argomento petagno, ormai eravamo arrivati al portone del mio palazzo e sono salita. Lui ha proseguito verso casa sua, ai Tribunali.

 

Non ero più né Bambenella che ‘ncopp ‘u pianino se mette a ballà né un giullare allegro quando sono entrata nel portone. Ero  Pierrot acciaccato, ero Pulicenella spaventato dalle maruzze.

 

A casa la cucina era ancora piena di piatti, se ne erano appena andate dodici persone, Nadia si era rintanata nella sua stanza perché stava sotto esami e lei se non si faceva quelle quindici ore al giorno sui libri all’appello neanche si presentava. Così a rimettere a posto era rimasta solo Tonia che non è tipo da lamentarsi o mettersi a pignolare su questo spetta a te e quest’altro spetta a me.

-Con quale dei tuoi fidanzati sei uscita, stasera?- mi ha chiesto mentre le davo una mano.

Lei ne aveva uno di fidanzato, uno e buono. Buono nel senso di definitivo, era dal liceo che stavano insieme e si sapeva che dopo la laurea e un paio di anni di lavoro per mettere da parte una cosarella di soldi si sarebbero sposati. Io ne avevo tre di ‘fidanzati’ al momento, buoni anzi buonissimi, ognuno buono a modo suo, nessuno buono nel senso di definitivo, e dopo la laurea non avrei avuto nessun motivo per risparmiare.

Tutto, tutto mi sarei spesa appena trovavo un lavoro,  e ogni mese sarei andata a farmi i capelli da Manolo.

 

-Com’era lo spaghetto a vongole?-

-Vuoi il commento di Gigi? Quattromila lire, dalla zì Teresa  avrebbero chiesto quattromila lire.-

-Alla faccia!-

-Quale dei tuoi ‘fidanzati’ stasera?- è tornata alla carica Tonia.

-Niente ‘fidanzati’ stasera. Siamo andati a farci una pizza a piazza Bellini Gennaro, io, e uno che ha la stanza nello stesso appartamento di Gennaro.-

-E com’è?-

-Hai presente Paul Newman color oro? –Sono andata sul sicuro, dopo mangiato prima di metterci a studiare vedevamo PomeriggioConSentimento, un ciclo di film americani degli anni cinquanta e sessanta.

-Alla faccia! Pure con gli occhi azzurri?-

Seeee, azzurri… Miele  con stelline dorate dentro, altro che azzurro.

Mi sono stata zitta per delicatezza, dato che Tonia e Gigi hanno gli occhi verde-azzurro.

-E poi hai presente una pizza di oggi ad otto? La sua ragazza-

-Ah- ha fatto Tonia.

 

L’obiettivo della squadra di calcetto di ‘fidanzati’ che secondo lei mi prefiggevo non si raggiungeva grazie a Gennaro  e a  PaulNewman.

Niente da fare,  non aumentava il numero dei ‘fidanzati’, sempre due ne mancavano per la squadra di calcetto; PaulNewman giocava nella squadra avversaria degli accoppiati e Gennaro,  pure lui doveva  trovare un fidanzato. Uno e buono, speriamo.

2.

Quanno sponna la luna a Marechiaro

Pure li pisci ci fanno l’ammore

Se revoltano l’onne de lu mare

Pe la prìezza cagnano culore

 

La lezione era  alle nove ma ero scesa in anticipo, dovevo passare al Centro di Calcolo a  via Mezzocannone 16  per ritirare i programmi lasciati  il giorno prima.

Al Centro si alternavano cinque o sei operatori e quello di turno il giorno prima  doveva avere una bella puzza sotto il naso, usciva ogni mezz’ora dalla sua stanzetta, ritirava i pacchi di schede in attesa negli scaffali e dopo  un’altra mezz’ora ritornava con i programmi eseguiti.

Ho aspettato un’ora e mezzo solo per digitare le schede perforate e per  le due apparizioni dell’operatore. Alla seconda apparizione, quando ha infilato le schede nello scaffale e il mio programma non era stato portato a termine perché conteneva un errore, ho rinunciato. Mica potevo aspettare un’altra ora e mezza, con quello che per portare un pacco di schede dentro, metterlo in macchina,  riportarlo allo scaffale ci metteva più tempo che Pintauro a sfornare sfogliatelle. Roba che quando era di turno Pasquale ci volevano tre minuti in tutto.

 

Pasquale non stava mai nella stanzetta degli operatori così appena avevi finito la perforazione gli davi il pacchetto di schede, lui entrava nella sala di elaborazione, metteva in macchina, ritornava col programma, se glielo chiedevi ti aiutava a trovare l’errore, rientrava, ripassava in macchina e dopo altri tre minuti ti riportava il programma corretto. E non ti strappava mai la scheda run.

 

Noi studenti avevamo diritto a un certo numero di esercitazioni; il professore ci firmava le schede run, una diecina per tutto il corso perché il tempo necessario all’elaborazione aveva un costo per la facoltà, e  ad ogni programma che si passava l’operatore avrebbe dovuto strappare la scheda. Seeee, in testa a loro con dieci programmi uno si prende la laurea in Matematica indirizzo Applicativo Numerico. Senza contare che le prime volte fai soltanto errori di battitura.  Se non fosse stato per Pasquale mai avrei imparato a programmare;  me la cavavo  perché in realtà avevo passato almeno un centinaio di programmi, le schede run uscivano integre come erano entrate grazie a Pasquale. Lo faceva con tutti, Pasquale. Con tutte, per essere precise,  a Matematica eravamo quasi tutte femmine. E con tutte Pasquale ci aveva provato.

 

Per fortuna era di turno Pasquale. La ragazza con cui ci stava provando l’avevo già vista a lezione ma ora mi sembrava decisamente migliorata rispetto alle altre volte, quando sedeva infagottata e silenziosa ai primi banchi, china a prendere appunti. Non era male, a ben guardare: tondetta e graziosa.

‘Deve essere la primavera’ ho pensato. A via Mezzocannone  quella mattina il verso degli uccelli copriva il rumore del traffico, e ho detto tutto.

Neanche ciao gli ho detto perché non lo  disturbo quand’è all’opera ma dopo poco la ragazza è andata via e così è stato lui a venirmi a salutare.

-Ciao Perla-

La prima volta che mi ha visto al Centro mi ha abbordato con l’ovvio

-Non ti ho mai vista qui. Io sono Pasquale, l’operatore–

-Rita-  ho risposto.

-Rita è diminutivo di  esaurita?-

-No, Rita è diminutivo di margarita che significa perla- ho ribattuto.

In realtà Rita non è diminutivo di niente, è che mia madre aveva fatto un voto a santa Rita, comunque da allora Pasquale mi ha chiamato Perla e ha continuato a chiamarmi così anche se con me non ha combinato niente. Come in genere niente combina con le altre.

Poi abbiamo fatto amicizia, mi ha raccontato che ha quattro figli, si arrabatta in mille modi per portare avanti la baracca, al Centro di Calcolo non deve sudare le classiche sette camicie come invece fa con i  privati dove lavora per arrotondare, e insomma se qui si mette a svariare un poco ci può anche stare. O no?

 

-Ciao Perla-

-Ciao Pasquà. Come va la stagione di caccia?-

-Promette, promette. Noi pariamo le trappole…Quanti esami, per luglio?-

-Tre entro fine giugno, spero.  E la laurea a fine luglio-

Pasquale mi ha fissato pensieroso.

-Stai studiando parecchio? Hai i pomeriggi pieni?-

-Mica tanto. La tesi è pronta, gli esami più o meno. Io al mattino ho seguito tutti i corsi come una scolaretta diligente, non è che il pomeriggio mi devo uccidere di studio sui libri. E poi i corsi stanno per concludersi, così avrò la mattina libera per studiare-

-Senti una cosa, Perla. Allo studio del notaio dove lavoro serve  una ragazza  pratica col computer, vogliono cominciare ad informatizzare e non ne capiscono niente, mi hanno dato carta bianca. Io il lavoro l’ho impostato ma nel frattempo me ne è capitato un altro, così se trovo una ragazza sveglia…Lo so che a  maggio gli studenti stanno sotto esami e non sacrificano lo studio di un anno intero in cambio di un lavoro di tre giorni a settimana per un mese. Tu conoscessi qualcuna?-

-Ma pagano?- ho fatto io.

-No, facciamo opera di bene. Così campo la famiglia, con le opere di bene- mi ha sfottuta.

-E quando devo presentarmi?-

-Davvero fai? Non è che poi non riesci a laurearti a luglio e metti in croce a me che ti ho fatto perdere tempo?-

– Figurati Pasquà, stai parlando con la regina delle perdite di tempo-

-Perla sì n’amica. Passa domani pomeriggio a nome mio; oggi  parlo  con la signora DeRosa-

Piazza del Gesù, alle quattro.

 

Sono andata a cercare Gennaro a mensa.

-Gennà accompagnami, ti voglio bene, se vado da sola mi impappino e magari non dico neanche una parola-

-Tu? Ma se tieni faccia e culo una cosa! Tu che non tieni scuorno di metterti a cantare e ballare in mezzo alla strada ti fai impressionare dalla spicciafaccende di un notaio?-

-Che c’entra! Se canto e ballo non tolgo niente a nessuno, invece se quel posto lo danno a me vuol dire che scartano qualcun altro.  Mi sento una ladra. Ti voglio bene, dai, Gennà. Che se mi assumono a fine mese mi vado a fare i capelli da Manolo-

-Vabbuò, a che ora è?-

-Domani a casa mia alle tre. Vestiti bene. E fatti la barba-

Poi sono andata da Fred Astaire.

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