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DECAMERINO 2° giorno: 'O Razione (L'orazione) Racconto Parte II - Ass. Cala Felci

DECAMERINO 2° giorno: ‘O Razione (L’orazione) Racconto Parte II

In questo periodo in cui siamo costreti in casa, per passare un po’ di tempo, vi propongo a puntate un mio vecchio racconto tratto dal Libro “Racconti dall’isola” , ormai esaurito.

MUTUANDO IL DECAMERONE QUESTA SERIE DI RACCONTI LA CHIAMEREMO UN PO’ PIU’ MODESTAMENTE

DECAMERINO  SECONDO GIORNO

 

‘O RAZIONE (contiuazione) 2^ parte

Marietta ‘a Gaetana era una specie di santona specia­lizzata in “appercantamenti”, una sorta di terapia del dolore ante litteram che si applicava in particolare a dolo­ri lombari, sciatalgie, slogature, distorsioni, mal di denti, mal di pancia, vermi e cose similari. I suoi interventi erano un misto di tecnica della manipolazione ossea, nervosa e muscolare e conoscenze di antichi rimedi fitoterapici relative alle erbe officinali nell’isola. Usava spesso anche alghe e piante marine in combinazione tra loro. Classica tra queste ultime era la cosiddetta ‘erba corallina’, dall’odore nau­seabondo e dal sapore orripilante, particolarmente indica­ta nei casi di mal di pancia. Il tutto era sempre accompa­gnato da gesti rituali, formule arcane tra il sacro ed il pro­fano pronunciate in maniera incomprensibile, ma sempre con enfasi, durante la terapia.

I suoi interventi erano particolarmente e frequente­mente richiesti per sciogliere fatture e togliere gli “uocchi sicche”, espressione dialettale che indica il malocchio.

Sia per gli “appercantamenti” che per gli “uocchi sicche” bisognava che il richiedente dell’una pratica o dell’altra si rivolgesse a Marietta ‘a Gaetana con una formula rituale, che doveva necessariamente comprendere la frase “per l’amor di Dio ti chiedo di… pena il fallimento dell’intervento.

Per il rito del malocchio o degli “uocchi sicche” Marietta ‘a Gaetana‘ usava un piatto con dell’acqua nel quale faceva cadere delle gocce d’olio. Il tutto condito da un salmodiare di formule piene di Dio, Gesù Cristo, Spirito Santo, Madonna ed anime del purgatorio. Poi alla fine del rito Marietta usciva fuori dell’uscio della sua casa, situata pro­prio sulla banchina del porto borbonico di Ponza, e butta­va a mare l’acqua, l’olio ed il malocchio, avendo cura di avere la testa girata da un’altra parte, senza dimenticare la formula di chiusura del rito.

E tenive brutte assai ll’uocchi sicche, ma mo’ t’aggio levate, vattenne co nomme e Dio e nun te ne incarica’ – era la frase con la quale congedava il postulante di turno. Poi, sorridente, ma con aria distratta, dalla grande tasca, sul davanti del grembiule forato che portava sempre, tira va fuori un santino, che variava secondo il periodo dell’an­no, e consegnandola al postulante diceva: “Prega! figlio mio, Prega!”.

Marietta ‘a Gaetana era una donna dal viso dolce, perennemente incorniciato da una scolla che le cingeva la fronte. Di taglia forte che si evidenziava ancora di più quando la vedevi insieme al marito. Domenico ‘e Scassascoglie, di piccola statura e poche parole, per con­trappeso alla moglie, che un po’ per carattere ed un po’ per “professione” era loquace ed affabile, aveva, come si dice in ponzese, ‘a vocca doce.

Era rinsecchito dal sole e dalla salsedine, come quasi tutti i pescatori. Abilissimo sarcitore di reti, nasse e nassielli.

Non si sa bene se il suo soprannome – Scassascogli – fosse dovuto a qualche antica collisione con uno o più scogli, oppure, più verosimilmente, al fatto che praticava una pesca particolare con lo specchio ed u’ lanzaturo che lo induceva a sfiorare con la sua barchetta sempre gli scogli e le scogliere con inevitabili piccoli strofinii tra la barca e gli scogli.

Oltre che per gli “appercantamenti” e gli “uocchi secchi” Marietta ‘a Gaetana era famosa e ricercata per un’altra cosa: ‘o razione !

***

 

I cani latravano rabbiosi.

Sentivano gli ordini, in tedesco, secchi e perentori sempre più vicini. Capirono che non ce l’avrebbero fatta a tornare all’isola affamata con le derrate che erano riusciti a raccogliere.

Ma fino all’ultimo sperarono che forse non li avrebbero trovati nascosti in quella grande botte vuota.

“Raus!” – gridò il caporale tedesco, con tutto il fiato che aveva in gola, sollevando il coperchio della botte. Era finita, li avevano scoperti!

Nella piazza del paese erano una cinquantina i rastrellati ammassati.

Furono caricati tutti su tre camion e partirono.

A Littoria furono interrogati da un ufficiale delle SS, che fu molto interessato dal fatto che i nostri tre non fossero di S. Felice, né una località vicina, ma addirittura di un’isola, dall’altra parte del mare. Era sospettoso, quei tre non gliela contavano giusta! Possibile che erano lì solo per acquistare derrate alimentari da portare a Ponza dove i viveri scarseggiavano? Non era affatto persuaso: e se fossero spie? O sabotatori? O uomini mandati in avanscoperta per effettuare ricognizioni sul posto per preparare eventuali sbarchi?

Giosuè, Salvatore e Gaetano cercarono di convincere il capitano tedesco ed i suoi collaboratori che potevano controllare, la Madonna dell’Arco stava lì nascosta nel canneto, a bordo c’erano già ammucchiati gran parte dei viveri che erano riusciti a reperire nelle campagne vicine.

L’unica cosa che riuscirono ad ottenere fu quella che li separarono dagli altri.

Furono rinchiusi in una stanza di una caserma della Milizia con due finestre, munite di sbarre, che davano su un ampio cortile.

La mattina dopo, all’alba, dalla prigione improvvisata nella quale avevano trascorso la notte dormendo sul pavimento, videro caricare su alcuni camion diversi uomini, tra cui riconobbero alcuni dei Sanfelicesi del giorno prima.

*  * *

La camicia nera che portò un po’ di caffè d’orzo dopo qualche tempo disse lo che quegli uomini sarebbero stati portati a Roma e da lì in Germania a lavorare per il terzo Reich. Servivano 100.000 lavoratori, inquadrati in un’organizzazione che si chiamava Tod, per tentare di ripristinare l’industria bellica tedesca massacrata dai massicci bombardamenti dell’aviazione anglo-americana.

I giorni passavano nell’inerzia più totale e nell’assoluta mancanza di notizie sulla loro sorte. Il rancio diventava sempre più schifoso e sempre più irregolare. Il movimento dei rastrellati era continuo. Ogni giorno arrivavano due o tre camion carichi di uomini di ogni età ed il mattino dopo li smistavano verso la Germania, via Roma.

Poi un bel giorno il cortile della caserma si animò all’improvviso, ordini gridati, un via vai di soldati, camion, carri armati, una confusione totale.

“Sono sbarcati gli alleati sulla spiaggia di Anzio!! Bisogna ripiegare!! – disse il milite in camicia nera che faceva da secondino ai nostri. “Preparatevi, tra poco si parte!”.

C’era poco da prepararsi, non avevano nessun bagaglio!

Era ormai notte da parecchio quando furono caricati su un camion con i cassone coperto da un telo. Insieme a loro salirono sei Camicie Nere. Erano tutti giovanissimi, nessuno di loro raggiungeva i 20 anni. Li comandava un anziano capo manipolo che portava i distintivi della marcia su Roma.

Era una colonna di una decina di camion, il loro era l’ultimo. Si diressero a velocità sostenuta verso il centro di Littoria.

Era quasi l’alba quando i camion della colonna si fermarono nella piazza della Prefettura, dalla parte opposta del Palazzo del Governo, davanti alla Banca d’Italia.

Dopo alcuni minuti sentirono due forti esplosioni provenire dall’interno dell’Istituto di emissione. I militi scesero e rapidamente caricarono sui camion tante balle, si proprio balle!

Erano biglietti di banca da 100 e da 50 lire!

Giosuè ed i suoi compagni non credevano ai loro occhi, anche se la luce era ancora poca, si vedeva perfetta­mente che si trattava di milioni e milioni di lire. Quanti non riuscivano a calcolarli, erano numeri al di fuori della loro conoscenza.

Il massimo di cui Giosuè, Salvatore e Gaetano potevano avere coscienza, seppur vaga, poteva essere un milione di lire. Oppure, con uno sforzo immane e con contorni non ben definiti, forse, potevano immaginare dieci milioni!

Ma quelli erano tanti, ma tanti di più.

Furono spinti in fondo al camion. Le balle furono sistemate in quattro o cinque file in altezza fino a riempi­re del tutto il camion. Due militi armati presero posto nella cabina a fianco dell’autiere.

“So’ miliune e miliune” – disse Gaetano con lo sguardo perso, quasi in trance, rivolto ai suoi compagni di avven­tura.

Ogni cento biglietti erano tenuti insieme da una fascetta: una mazzetta. Ogni dieci mazzette erano legate insieme con uno spago, in gergo bancario dette ballette.

La balla era composta da dieci ballette tenute insieme legate con fu di ferro. Si trattava di biglietti nuovi di zecca, mai messi in circolazione. Quando il piccolo convoglio tornò sull’Appia alla volta di Roma, era ormai giorno pieno.

*  *  *

FINE II PARTE (continua)

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