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Dedicato a Mirella - Ass. Cala Felci

Dedicato a Mirella

Dobbiamo a Mirella Romano le foto delle cerimonie per l’affondamento del Santa Lucia e molto altro; senza il suo impegno e la sua ostinazione, e senza il suo dolore di orfana, quella tragedia sarebbe stata dimenticata. A lei, a Salvatore, a Nunzio sono dedicate queste righe, epilogo di un mio romanzo (Rita Bosso).

Adesso, che loro due non ci sono più da tempo e nulla di quello che allora esisteva sopravvive, tranne il porto e il cafè.

Adesso, che anche la mia ora è vicina e i dolori sono sempre più acuti.

Adesso io torno qua e li rivedo così come li vidi quel giorno; nulla più di quanto compresi allora comprendo, ho solo più parole per dirlo.

Ho sette anni, la gente che mi viene incontro urla e piange; scendono dal cimitero, lo so, corrono alle loro case. Anche mio padre e mia madre sono andati al cimitero per il funerale del vecchio maggiore Califano ma non li vedo tra la gente che torna, la porta del cafè è chiusa; prendo il grottone di Pascarella e poi la rampa di scale che porta alla Parata. È una giornata di luglio calda, luminosa; la garitta che, ai tempi del confino, era occupata dai militi, adesso è vuota, non ha porta, non l’ha mai avuta, è solo un casotto grande quanto un cesso; entro, mi rannicchio contro il muro.

Mio padre e mia madre sono a pochi metri da me, di spalle, vicini ma non abbastanza da toccarsi; tra le loro spalle c’è uno spicchio di mare. Quel vuoto tra le loro spalle è il mio posto. Loro guardano il mare, guardano Ventotene che è una striscia scura all’orizzonte; prima, tra le urla della gente, ho appreso che la nave è affondata davanti Ventotene, che non ci sono sopravvissuti. Loro sono appoggiati al muretto, guardano il mare, guardano l’isola e, credo, piangono il loro dolore, piangono la persona che hanno perso, che non è la stessa; piangono a modo loro, senza lacrime e senza singhiozzi.
A modo loro, sono un marito e una moglie.
A modo loro, sono un padre e una madre. Mille volte Teresa mi ha ripetuto che siamo madre e figlia perché ci siamo scelte.
– Quando tua madre Carmela ti portò, mi guardasti muta; se tu avessi pianto o urlato, non avrei avuto la forza di trattenerti, ma tu ed io ci siamo rannicchiate una contro l’altra, ci siamo incastrate, ci siamo accolte e riscaldate subito – dice.
Se lui non avesse avuto le mani che ha, calme, grandi, operose, mani a cui affidarsi, da cui farsi accompagnare e sostenere, lui non sarebbe stato mio padre.
Guardano l’orizzonte, ciò che hanno perso, ciò che hanno avuto; ho sette anni, mi mancano le parole per dirlo, ma capisco perfettamente ciò che stanno guardando.
Resto a lungo nel fresco della garitta, guardando le due schiene parallele e lo spicchio di mare che incorniciano.

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