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Un’isola, una feluca e un capitano - Ass. Cala Felci

Un’isola, una feluca e un capitano

La rivista La voce del Tabaccaio dedica un ampio servizio allo storico tabacchino di Ponza e alla sua ex titolare, Genoveffa D’Atri.
L’articolo è frutto di una ricerca a più mani.
Ringrazio la dottoressa Migliaccio dell’Archivio Storico Fit (Federazione Italiana Tabaccai) che si è interessata alla Historia di un tabacchino e ha voluto portarla a conoscenza di tutti i tabaccai d‘Italia.  (Rita Bosso)

Una favola? No, una storia vera lunga oltre 200 anni!

Nelle parole di Genoveffa D’Atri, classe 1931, si respirano la magia dell’isola di Ponza (LT), che le ha dato i natali e quella della tabaccheria di una volta, dove si andava per acquistare il sale e le sigarette, per avere una parola di conforto e… per trovare l’amore! Tutto inizia quando «l’isola è abitata da un gruppo di coloni provenienti da Ischia, che aderiscono al progetto del Re di Napoli di popolare e sviluppare il territorio delle isole pontine – racconta Genoveffa – a quel tempo Leonardo De Luca, un capitano di Ischia, veniva a Ponza con la sua feluca del dispaccio (imbarcazione a vela lunga circa 10 metri NdR) a vendere sale e tabacco sfuso per conto del Governo del Re di Napoli e nel 1799 ottiene l’autorizzazione per aprire, a titolo sperimentale, una rivendita su una piccola isola scarsamente abitata». Nasce così la prima tabaccheria stabile a Ponza: la rivendita di generi di monopolio n. 1! «Nel 1840 circa – prosegue – diventa titolare Francesco, figlio di Leonardo, nato ad Ischia nel 1798. Successivamente, nella gestione della rivendita, subentra Civita, figlia di Francesco, che sposa Vincenzo Tarantino, probabilmente un avvocato.
GIULIA MIGLIACCIO                                                                       ADELE MANNA
Purtroppo, però, dopo soltanto cinque anni di matrimonio, Civita muore e diventa titolare il marito che sposa, in seconde nozze, Giulia Migliaccio. Dopo un anno di matrimonio, ancora molto giovane e senza figli, anche Vincenzo muore e la rivendita finisce all’asta e viene vinta dalla vedova Giulia Migliaccio, mia nonna, che così ne diviene titolare». Ed è a questo punto che l’amore, armato di pazienza oltre che di passione, entra in tabaccheria.
«Giovanni Manna, Maresciallo della Finanza da poco trasferito a Ponza, tutti i giorni va in tabaccheria a fare l’inventario perché, in realtà, si è innamorato di mia nonna Giulia. Ma lei, essendo rimasta vedova da poco, non vuole essere corteggiata. Così, si lamenta con un dirigente superiore dei Monopoli di Napoli e il Maresciallo, nel giro di poco tempo, viene trasferito al circolo di Milano. Ma non si dà per vinto e riesce ad essere rimandato a Ponza. E quando si presenta nuovamente in tabaccheria, mia nonna comprende che quel ritorno non è casuale: lui, veramente molto innamorato, è ritornato solamente per lei! Così, si sposano e dalla loro unione nasce Adele, mia madre». Ed è lei, nel 1930, a prendere le redini della tabaccheria di famiglia.Anche nel suo caso, il bancone è stato galeotto.                                                                dott SILVERIO D’ATRI
«Mio padre, innamorato di mia madre, andava in tabaccheria dieci volte al giorno per poterla vedere e ogni volta comprava una sola sigaretta, una Macedonia! Sigarette molto leggere, sul mercato almeno fino a circa gli anni ’70 quando, con l’arrivo di quelle americane, passano di moda e i clienti smettono di comprarle». Della madre Adele, Genoveffa ricorda soprattutto il sorriso «bellissimo e accogliente. Tutti le volevano molto bene. In tanti poi la chiamavano Giovannina perché le associavano il nome del padre». Arriva il 23 settembre 1974 e la titolarità passa a Genoveffa, entrata ufficialmente in tabaccheria all’età di 17 anni anche se, pur saltuariamente, già prima era spesso in negozio. Nel 2004 diventa titolare la sorella Anna D’Atri e infine, nel 2014, la tabaccheria passa ad Andrea Marchionni «discendente di quel Leonardo De Luca, che nel 1799 ha dato inizio a tutto!». I ricordi di Genoveffa, nel raccontare la lunga storia della sua tabaccheria, si rincorrono, regalandole attimi di malinconia e dolci sorrisi ma ciò che traspare sempre è l’orgoglio per il proprio lavoro. «La vita del tabaccaio è sempre stata improntata alla serietà e al decoro. E le tabaccherie, come i Carabinieri e gli uffici delle Imposte, erano il segno tangibile della presenza dello Stato o, ai suoi tempi, del Regno – racconta – noi tabaccai del passato siamo sempre stati consapevoli di questa importante funzione nel vendere il sale, il tabacco, ma anche il Chinino o il carburo.
Abbiamo sempre collaborato con le autorità preposte e ci siamo sottoposti tranquillamente a tutte le norme e a tutte le restrizioni previste. I controlli della Guardia di Finanza erano molto frequenti e il Maresciallo, con i suoi subalterni, veniva a redigere l’inventario fisico degli articoli di monopolio per controllare che non si facesse contrabbando. Quindi elencavano le giacenze che rinvenivano all’atto della visita e le confrontavano con gli acquisti e con le vendite, ritirando tutte le bollette di consegna del sale e del tabacco».
Infatti tra le tante immagini che Genoveffa conserva dentro di sé, sicuramente quelle legate proprio alla vendita delle sigarette e del sale ricoprono un ruolo speciale. «Un tempo le sigarette venivano vendute sfuse e nessuno acquistava un pacchetto intero. Pertanto c’era un andirivieni continuo perché gli stessi clienti venivano anche più volte nella stessa giornata. Ed erano tali l’abitudine e l’abilità nel distribuire le sigarette che mia madre ed io, senza neanche guardare, sapevamo prelevare dal pacchetto il numero giusto di sigarette senza sbagliare mai». Stesso discorso per il sale, venduto a peso. «A quell’epoca sia i pescatori che le famiglie consumavano quantità molto ingenti di sale per conservare il cibo e, soprattutto, il pesce. Avevamo una cosiddetta “sassola” di legno, una specie di grandissimo cucchiaio che sapevamo riempire prendendo esattamente la quantità di sale richiesta prima ancora di pesarla. Una volta la nostra bilancia si è rotta perché corrosa dal sale e quindi misuravamo la quantità richiesta ad occhio, con la “sassola”. Poi i clienti andavano da un amico commerciante che si era messo a disposizione per verificare esattamente la quantità pagata e… tutte le pesate sono risultate esatte e nemmeno una persona è tornata indietro a lamentarsi!». La vendita del sale sfuso creava molti problemi perchè il sale assorbe l’umidità, molto alta sull’isola, soprattutto nelle giornate di scirocco. «Avevamo una cassa di legno che conteneva dieci quintali di sale, ma nemmeno questa era sufficiente a risolvere il problema perchè il sale si scioglieva comunque e l’acqua salata, anzi la salamoia, colava attraverso le giunture e raggiungeva il pavimento». Tanto che durante gli anni in cui Genoveffa è stata in tabaccheria «abbiamo dovuto cambiare il pavimento ben due volte perchè il sale l’aveva corroso – prosegue – ma nel 1971, era ancora titolare mia madre, anche se di fatto gestivo tutto io, ho letto sul nostro giornale di categoria che era stata approvata una disposizione in base alla quale, se si rinnovava l’arredo e si ristrutturava l’esercizio, era possibile essere esentati dalla vendita del sale sfuso. Così, in men che non si dica, abbiamo provveduto a rimodernare la rivendita e abbiamo risolto il problema. All’inizio è stato difficile convincere i clienti che dovevano comprare il sale nei pacchetti, ma abbiamo affisso il ritaglio del giornale su una parete e, un po’ alla volta, se ne sono fatti una ragione». Genoveffa ricorda poi che la rivendita era aperta dalle 7.00 fino alle 23.00, senza sosta, perché è sempre stata un punto di riferimento per tutta la popolazione «un luogo dove si poteva dire una parola buona a tutti, dare un consiglio, distribuire un po’ di ottimismo e di fiducia. E di questo sono sempre stata fiera, come lo erano anche mia madre e mia nonna». Genoveffa porta nel cuore tutte queste immagini; i colori, gli odori, le voci di un tempo ormai lontano ma prezioso perché tra quelle mura «ho trascorso tutto il tempo della mia gioventù, tutta la mia vita. Prima insieme con mia madre e poi da sola. E ogni giorno, ponendomi verso gli altri con animo sincero, ho cercato di fare e diffondere il bene». E, ne siamo certi, chiunque sia entrato in tabaccheria, avrà portato via con sé un bel ricordo.
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