DECAMERINO 21° giorno – Tra cielo e mare – racconto di Alessandro Amalfitano-

Oggi, 21esimo giorno di questo nostro Decameron fatto con scritti di AUTORI NOSTRI vi proponiamo un bel racconto di ALESSANDRO AMALFITANO, tratto dalla raccolta RACCONTI DEL PORTO: BUONA LETTURA

TRA CIELO E MARE

Alessandro Amalfitano

 

Da questo osservatorio privilegiato che si chiama Sopra Giancos, questa lingua di terra che si staglia tra cielo e mare, il porto e lo specchio d’acqua che è contenuto nei suoi confini rappresentano per me un caleidoscopio di ricordi ed emozioni. ‘O Puort’ lo chiamavano i miei nonni, mia mamma che era nata qui ed anche mio padre che qui era venuto in vacanza ed aveva trovato l’amore. Ripercorrendolo con lo sguardo inizio un viaggio indietro nel tempo ed ogni angolo del porto, sopra e sotto, mi riporta ad antiche rimembranze, schegge di memoria volatili come gocce di acqua rubate dal vento ad una cresta di un’onda enorme che avanza inarrestabile, parte dalla fanciullezza ed arriva ai giorni nostri. Mi sembra ancora di sentirle le urla: ‘O Levante!! Tutto iniziava con le tende di casa che si gonfiavano e continuava con il vento che infuriava sempre più impetuoso. “Corriamo giù o il mare straccia le cime e ci ritroviamo le barche ‘nterr Sant’Antonio!”. Iniziava così la corsa verso il mare, una processione di persone confluiva da tutte le parti dell’ Isola lunata verso le spiagge del porto. Giancos e Sant’ Antonio si animavano improvvisamente nel cuore della notte. Il vento imperversava, fischiava sempre più forte, le tendine della casa di mia nonna sembravano impazzite, quasi ci fosse un demone dispettoso che le volesse strappare via. Pur non possedendo una barca mio padre mi accompagnava a Sant’Antonio per farmi osservare da vicino quello spettacolo; il mare impazzito, le onde enormi che travolgevano quelle persone che, a volte vestite, si erano buttate in acqua per salvare le proprie barche, quei beni che assicuravano lavoro o divertimento a se stessi e ai propri cari e che ora erano in grave pericolo. Lo ricordo ancora mio padre, dalla strada indicava il mare, la spiaggia e le persone e mi diceva: “Guarda bene, si aiutano a vicenda a tirare a terra le barche in balìa delle onde, c’è collaborazione, solidarietà, quasi fratellanza nel pericolo comune, magari quelli sono due vicini di casa che stamattina hanno litigato per motivi di confini ma ora si ritrovano fianco a fianco e si aiutano l’un l’altro”.
Il mare va sempre rispettato. Unità di intenti contro la natura impazzita che ancora oggi rappresenta per me una grande lezione di vita. Quelle gambe infossate nella sabbia, la fatica enorme per tirare a terra barche già piene di acqua e pesantissime, il vento che rinforzava, il mare che senza pietà travolgeva tutto e tutti. Uno spettacolo terrificante ed esaltante allo stesso tempo, uno dei ricordi della mia infanzia che il porto di Ponza mi ha regalato.

Proseguendo verso il molo ci soffermiamo sulla zona denominata “Giù al Porto-Le Banchine”; “cannuccelle” in mano, pane e formaggio puzzolente: oggi si pesca. Iniziava la gara, chi ne prende di più?? Cefali e sarpe guizzavano veloci cercando di accaparrarsi quel pezzo di pane, l’amo e più spesso la purparella facevano il proprio dovere catturando quelle ignare prede che pochi secondi dopo si contorcevano nelle buste di plastica. Un fetore incredibile, a ripensarci oggi, impregnava quei luoghi: erano state rifatte e potenziate le fogne che sversavano proprio  dove eravamo noi; galleggiava di tutto in quel tratto di mare! I turisti che si fermavano a guardarci ci chiedevano esterrefatti: “Ragazzi ma mica li mangiate questi pesci??” E noi subito avevamo la risposta pronta: “No, no li diamo ai gatti!” In realtà le buste finivano nella spazzatura insieme al loro contenuto, se solo provavamo a portarle a casa le nostre mamme ci inseguivano con le scarpe in mano pronte a riempirci di mazzate. Ma noi avevamo raggiunto il nostro scopo, avevamo trascorso un pomeriggio in allegria tra amici ridendo, scherzando, bagnandoci tra di noi, pronti a ripetere quella esperienza anche il giorno successivo, se solo ne avessimo avuto voglia.

Passa qualche ann, sono diventato un po’ più grande e iniziano a nascere le prime sale giochi qui sull’isola, ci spostiamo avanti con lo sguardo e con il pensiero: una di queste, molto gross,a era stata creata dietro al Curreduro. Mia mamma mi diceva: “Se vuoi giocare va a guadagnarti i soldi!!” Come fa un ragazzo di tredici o quattordici anni a guadagnare quanto gli serve per andare a giocare a Donkey Kong o Pacman? Semplice, ci si posiziona giù alla banchina e si aspetta lo yacht di turno che sta per attraccare, si urla forte al comandante di turno: “Cimaaaa!!” Qualcuno ti lancia una cima pesantissima che tu prendi al volo rischiando di farti veramente male ed a quel punto, agitato ed emozionato, inizi ad inventare un improbabile nodo che assicuri lo yacht all’anello cementato alla banchina. Fai il possibile per legare quella barca, non hai la minima idea di che cosa stai facendo, ma lo fai in maniera tale da non darlo a vedere. Il comandante dello yacht alla fine scende, ti sorride, ti ringrazia, capisce la situazione, prende una banconota da 500 lire e te la porge, poi sorridendo si dirige verso il nodo che tu avevi fatto, lo scioglie ed inizia a farne uno a regola d’arte. Con quei soldi in mano ti sentivi il ragazzo più ricco del mondo, avevi fatto una cosa utile e non avevi chiesto soldi ai tuoi; era arrivato il momento di andare a spendere quell’enorme gruzzolo con gli amici: una gomma 50 lire, una partita ai videogames 100 lire, un paio di cime legate male e la serata era assicurata! Anche questo era parte della nostra infanzia, un altro pezzo di memoria che il porto di Ponza ci ha regalato: momenti che non ritorneranno mai più.

Il viaggio lungo il porto di Ponza ci porta ad una fase fondamentale della mia vita: il periodo in cui passavo quattro mesi all’anno nel negozio di abbigliamento di mia madre, un’esperienza che mi ha fatto conoscere dei ragazzi con i quali ho stretto una fortissima amicizia e che ancora oggi frequento in quanto ci rincontriamo ogni anno durante il periodo estivo. Passavamo intere giornate per strada in quanto mia madre non voleva assolutamente che un ragazzino restasse lì nel negozio e potesse in qualche modo influenzare negativamente gli affari, voleva tranquillità e serenità come gli altri negozianti e questo faceva sì che le giornate si dividessero tra bagni interminabili a Chiaia di Luna che iniziavano alle dieci di mattina e finivano a volte alle sei del pomeriggio e le scorribande con gli amici fino alla chiusura dei negozi che avveniva in nottata. Dopo il mare, il tempo di una doccia veloce e di un panino e poi iniziavano le attività pomeridiane in compagnia di questi ragazzi con i quali ho condiviso esperienze ed emozioni assolutamente indimenticabili, aneddoti che richiederebbero libri interi ma che in questa sede vengono semplicemente condensati in un veloce ricordo: infanzia felice, capacità di divertirsi e stare insieme condividendo momenti di spensieratezza divertendoci con poco o niente, con la sola volontà di stare insieme e raccogliendo esperienze che hanno formato le nostre vite anche se queste hanno seguito poi strade diverse, a volte divergenti sotto ogni punto di vista.

L’età avanza, l’adolescenza ormai è arrivata. Ci spostiamo sempre più avanti nella linea spazio-temporale del Porto. Pubertà: quindici-sedici anni, ci ritroviamo con gli amici sul lanternino, musica, feste, balli, i primi approcci con le ragazze i primi baci, i primi amori, ragazze che rivedevi a distanza di un’estate: “Un anno fa quella era proprio brutta, ma adesso..”, in un anno magari aveva sviluppato “qualità” che ora attiravano l’ attenzione ed avevano fortemente modificato la tua opinione su di lei. Ma partivi svantaggiato perché tu restavi qui per pochi mesi mentre loro abitavano in questo luogo meraviglioso per 365 giorni l’anno frequentando quotidianamente i ragazzi del posto e questo inevitabilmente portava alla conclusione che le ragazze più carine erano già impegnate. Queste ragazze sono le stesse che oggi tu vedi camminare, ormai quarantenni come te, per strada spingendo sorridenti e spensierate carrozzine con bambini che potevano essere figli tuoi, chissà, ma il destino aveva evidentemente programmi ben diversi per te …e per loro. Se questo sia un bene o un male non lo sapremo mai, non esiste riprova, indietro non si torna e la vita è una linea retta che viaggia in una sola direzione. Sta di fatto che il porto di Ponza nasconde in sé anche questi intrecci tra presente, passato e futuro che non saranno mai dipanati. Potrebbe sembrare giunto alla fine il nostro viaggio ma in realtà, girando intorno al lanternino, ci sono altri due luoghi che hanno contraddistinto la mia infanzia: la “Caletta”, la spiaggia dove il 99% di quelli della mia generazione ha imparato a nuotare, una lingua di sabbia sottilissima che congiungeva il muro rosso del Porto alla scogliera che c’era lì davanti, un posto meraviglioso dove i genitori portavano i propri figli, dove il mare forte non poteva arrivare, dove si faceva il bagno in tutta sicurezza, dove ci divertivamo a pescare con i mattoni: i famosi “foratini” che lasciavamo nell’ acqua, lì si infilavano pesciolini che rimanevano intrappolati e quando noi ci recavamo a raccoglierli ponendo velocemente le mani da una parte e dall’altra del mattone sentivamo il solletico che questi facevano sui palmi una volta intrappolati tentando l’inutile fuga. A differenza dei loro simili che venivano pescati con le canne, questi venivano prontamente liberati: era solo un divertimento, una cosa che facevamo per passare il tempo in allegria. Diventati ancora più grandi il coraggio cresceva e la voglia di ostentazione anche. Andavamo su quella piattaforma che oggi è occupata dalla enorme condotta a cui si connette la cisterna che porta l’acqua da fuori e rifornisce l’intera isola, uno scalino artificiale costruito lì alto circa tre metri da cui ci divertivamo a fare i tuffi a bomba in quello specchio d’acqua limpidissimo che ancora oggi conserva tutto il suo fascino, era un esercizio riservato a pochi audaci che non avevano paura di toccare il fondale basso e gli scogli sottostanti con parti del corpo particolarmente sensibili che potevano ritrovarsi schiacciate a seguito dell’impatto. Ancora ricordo il terrore di effettuare quel balzo ma più forte era la paura di essere deriso dagli altri nel caso in cui mi fossi tirato indietro, era una sorta di rito di iniziazione a cui nessuno poteva sottrarsi.

Il porto di Ponza è terminato così come è terminato questo mio breve racconto. Una linea spazio-temporale meravigliosa, una serie di ricordi indelebili che dall’alto rivivo quasi quotidianamente ogni qualvolta torno in questo posto meraviglioso e punto lo sguardo verso il mare e verso questa sottile linea di terra che si staglia tra cielo e mare, i ricordi affiorano da soli ed irrompono come un’onda sugli scogli, mi ritrovo così a riflettere sul mio passato, sul presente e su quello che mi riserva il futuro, conscio del fatto che questo luogo ha segnato indelebilmente la mia vita.

FINE

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