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DECAMERINO Giorno 13° - Viaggio alle isole Borboniche - Racconto - Ass. Cala Felci

DECAMERINO Giorno 13° – Viaggio alle isole Borboniche – Racconto

Siamo al tredicesimo giorno di questo nostro Decameron in tempo di Corona Virus – Oggi vi proponiamo un bel Racconto di Giuseppe Mazzella, tratto dalla raccolta “Racconti del porto”.  Il libro è reperibile a Ponza presso la libreria Il Brigantino o l’edicola da Ricciolino, oppure rivolgendosi direttamente all’ASSOCIAZIONE CALA FELCI. BUONA LETTURA

VIAGGIO ALLE ISOLE BORBONICHE

dal Diario di Giuseppe Monitore, Primavera 1771

Giuseppe Mazzella

 

… Sono partito con mare molto mosso. Appena al largo di Ischia stavamo per desistere. Ma il comandante ha voluto andare avanti. E ha fatto bene; verso Ventotene, infatti, s’è messo a bonaccia. E il resto del viaggio è stato buono. Sono arrivato a Ponza, la maggiore delle Isole Borboniche, che era notte. Allo sbarco non c’era quasi nessuno. Ad attendermi il comandante del porto. I miei pochi bagagli sono stati presi da un forzato. Ho consumato in fretta una cena e sono andato a dormire. Ero troppo stanco…

***

… C’è calma di vento oggi. C’è tanto silenzio che l’isola sembra deserta. Nelle prime ore del mattino ho fatto una passeggiata sulla banchina del porto. I lavori fervono. E il completamento di questo avamposto sul mare come base strategica-militare è di là da venire. Il Consigliere del Re è stato esplicito. Scoprire dove è la causa del lento procedere dei lavori. Indagare,verificare, ottenere utili confidenze. Un lavoro improbo al quale non sono tagliato, ma che non potevo rifiutare…

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…Questa mattina ho incontrato una donna bellissima. Allora mi sono ricordato perché ho accettato questo incarico. Per scoprire dove e come vive una donna alla quale ero legato, Luisa di Ischia. E’ venuta al seguito della sua famiglia circa dieci anni fa. Una famiglia numerosa la sua. Non so chi abbia sposato, né come stia, né in quale parte dell’isola abiti. E quasi ho il timore di incontrarla…

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…Oggi è stata una giornata con qualche frutto. Ho parlato con un paio di forzati. Uno aveva una luce maligna negli occhi e mi ha detto di un tesoro che starebbero accumulando i costruttori del porto in località I Forni, dall’altra parte dell’isola. Lo stesso mi dice che il capo costruttore, all’insaputa dell’architetto Francesco Carpi, con l’appoggio del comandante del porto, sta lucrando abbondantemente. E’ una pista che non voglio sottovalutare, benché mi venga da un forzato…

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…Oggi mi sono alzato molto presto. Era ancora notte e ho osservato con sorpresa e meraviglia che alcune donne si stavano preparando per partire in barca a vela e a remi per andare a pescare verso l’isoletta di Palmarola. Sono donne nerborute e alcune con volti arcigni. Ma tutte, per un innato bisogna di sentirsi donne, portano legati i capelli con un nastro rosso. Sono molto ciarliere e non smettono di parlare anche quando sono impegnate con vigorosi colpi di remo per allontanarsi dal porto. Le loro voci stridule si sentono ancora per  molto tempo, dopo aver superato la Lanterna…

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…Oggi sono stato al casino esagonale che domina l’isola dal promontorio del porto, altura che chiamano della Madonna della Salvazione. E’ un casino da caccia, dove il comandante con i suoi amici consuma pranzi abbondanti, innaffiati da un ottimo vino rosso che qui viene prodotto. Da lì ho potuto osservare l’isola intera nella sua lunghezza serpentiforme. E sul filo dell’orizzonte il profilo del Circeo e della costa che si allunga fino alle isole di Ischia e Capri. Una distanza che ci separa da quelle isole non grande, ma qui sembra di essere in un altro mondo. C’è come una’aria di abbandono, di tristezza che mi fa desiderare di ripartire immediatamente.  Questa stessa tristezza la vedo come riflessa negli occhi di quasi tutti gli isolani. Una rassegnazione che li fa docili, all’apparenza, mentre nell’intimo sono ostinati e caparbi. Oggi in piazza ho assistito ad un vivace battibecco fra due forzati. La parola scurrile e offensiva più usata era cacavarecchione

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…Una pioggia insistente, che ha continuato per l’intera giornata, non mi ha permesso di uscire. Ho avuto modo così di parlare con la vecchia signora che mi ha dato in fitto una camera. Abbiamo parlato a lungo. Mi ha raccontato di essere venuta al seguito dei primi coloni nel ‘34. Lei, già avanti nell’età, per dare conforto e coraggio ai suoi familiari. Ma la cosa che ora più la sconcertava all’approssimarsi della morte, era di essere seppellita, come in un esilio eterno, su questo scoglio in mezzo al mare. E i suoi occhi si sono riempiti di lacrime. Il marito, morto ormai da tanto tempo, l’aveva lasciato a Campagnano di Ischia. Avrebbe tanto desiderato tornare al proprio paese, per un ultimo addio. Ma non era più  in condizione di affrontare il viaggio. Nei suoi occhi, allora, è come sceso un velo, mentre osservava muta l’invalicabile distesa d’acqua…

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…Quelle che sembravano maldicenze di forzati sembrano rispondere a verità. Ho cominciato ad avere delle prove per poter fare una relazione dettagliata al Re. E’ veramente terribile che questi stessi che lucrano su questa povera gente pilotino vergognosamente anche le loro ansie e i loro sforzi per sopravvivere. Le loro fatiche sono al limite della sopportazione, i miglioramenti economici dati con il contagocce. Qui i poveri sono veramente poveri, miseri ed indifesi. Bisogna vederli lavorare. Non solo i forzati, che qui almeno beneficiano di una certa libertà, ma gli stessi coloni. Sempre sudati e sporchi, con vestiti di settimane, venirsene al seguito di asini smagriti e carichi di pietre laviche che raccolgono alla Scarupata. Portate al porto, vengono utilizzare per le banchine e per il corso costruito sopra i depositi a livello del mare. Bisogna vederli alzarsi all’alba anche delle domeniche e raggiungere i loro terrazzamenti per cercare di rubare all’arida terra i pochi frutti. Con alacrità disperata stanno disboscando l’isola, per avere terra da coltivare. Quanta tristezza, quanta miseria!…

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…Oggi ho conosciuto l’eremita Giuseppe Scotti. Vive su balze quasi irraggiungibili in una grotta ed ha la sua filosofia. Ormai è vecchissimo. E’  arrivato qui per sfuggire ai rigori della legge, scegliendo questo romitaggio volontario. E’ però lucido e pronto nella parola. Gli ho chiesto cosa ne pensasse di questa colonizzazione. Lui, che dopo l’arrivo delle famiglie di Ischia, aveva perso la pace, essendo fino ad allora l’unico abitante, pensa che questa colonizzazione forzata è bislacca. Secondo lui è possibile colonizzare nuove terre se c’è la spinta di un lavoro adeguato o di facili arricchimenti. Qui invece c’è gente che proviene da zone diverse, quasi tutte povere, talune poverissime, che non hanno la forza per lottare contro condizioni veramente difficili e superare le ristrettezze. E ha continuato. Un popolo senza storia comune, salvo le proprie abitudini familiari, non amalgamato, un equipaggio un po’ raffazzonato non può condurre la nave in nessun porto sicuro. Un popolo che per renderlo unito ci vorranno secoli. Era quasi notte quando l’ho lasciato. Ha acceso la lucerna a olio, ha preso da una cesta un libro squinternato e l’ha messo su una cassa che gli fa da tavolo. Incuriosito, gli ho chiesto cosa stesse leggendo. Me lo ha mostrato: era la “Vita di Ponzio Pilato” del 1600, stampato a Napoli. Qui c’è la vera origine di Ponza, ha infine concluso e il suo destino futuro. L’ho salutato ancora più perplesso…

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…Ieri mi è stata recapitata una lettera anonima. Vi si accusa il prete del porto di intendersela con una donna maritata. Sembra che lo stesso marito, intimidito dal potere del prelato e dalla sua funzione, non ha il coraggio di difendere il proprio onore. Ho chiesto spiegazioni a zia Concetta, la signora che mi ospita, ma questa si è tenuta alla larga, parlandomi di malelingue, per aggiungere subito dopo che c’è gente che non rispetta la legge di Dio e che indossa indegnamente la sacra veste. I suoi occhi grigi si sono fatti ancora più scuri e si è messa a fissare, come è suo solito, la linea dell’orizzonte che si scorge dalla sua camera…

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…Questa notte Zia Concetta si è lamentata molto per i dolori alle ossa. Questa mattina, infatti, un temporale improvviso si è avventato da Zannone ed ha come inghiottito l’isola. In pochi minuti non si vedeva più niente, tutto era scomparso.
Un canalone d’acqua si è improvvisamente aperto sulle opere murarie in costruzione del porto, facendo venire giù un muro lungo più di venti metri. In quei momenti ho avuto la sensazione di trovarmi su una nave in balia della tempesta. Dalla finestra ho potuto anche intravedere che alcuni pescatori cercavano di rinforzare gli ormeggi, dopo che anche il mare si era scatenato. Una feluca, nonostante gli sforzi, è stata scaraventata dalla furia delle onde sulla spiaggia di Giancos. Dopo la tempesta tutto si è placato e il cielo si è completamente aperto: un sole caldissimo ha messo in risalto i danni, per riparare i quali ci vorranno dei mesi…

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…Questa mattina un gruppo di poveri contadini è venuto a bussare alla mia porta. Dite al Re che qui è impossibile vivere, si affannavo a ripetere,  non ce la facciamo più. Erano magri, con gli occhi tristi di chi non ha che la propria salute precaria. Mi imploravano di toglierli da quella strana avventura. Il comandante del porto, prontamente intervenuto, ha promesso pane e carbone. Se ne sono andati senza speranza e ancora più desolati. Un contadino mi ha voluto lasciare sei uova. Non ho avuto il coraggio di rifiutare…

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…Ieri nel pomeriggio, quando la luce si fa dolce e l’isola si adagia come per dormire, mi è sembrato di aver visto in lontananza Luisa. Non ho avuto, però, il coraggio di avvicinarla. E credo che anche lei abbia avuto la stessa reazione. Mi è sembrato che da lontano si fosse voltata verso di me. E’ rimasta come un attimo sospesa fino a che due bambini sui tre o quattro anni non l’hanno strattonata. Si è allora avviata lentamente verso la sua casa. Sono rimasto per due ore nei pressi, nella segreta speranza di rivederla. Niente. Era ormai notte e non mi restava che tornare alla mia camera e alla mia cena solitaria…

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…Oggi l’ennesima baruffa tra pescatori torresi e isolani. La materia del contendere il corallo. Queste isole ne sono ricchissime. Il sistema di pesca è alquanto rudimentale. Con un attrezzo che chiamano “ncegno” una sorta di croce di legno al quale vengono attaccate delle reti, viene trascinato sul fondo a forza di braccia. Un lavoro durissimo per dieci-dodici ore e senza avere mai la certezza di una buona pesca. Gli isolani sostengono che è il loro mare, mentre i torresi affermano che da sempre da generazioni sono venuti a pesca di corallo a Ponza, tanto da portarsi anche le famiglie al seguito per l’intera estate, e questo prima che l’isola fosse colonizzata. A volte i contrasti si risolvono con dei matrimoni tra torresi e isolani, a volte con dispute accese. Le autorità non prendono decisioni e le cose vanno come vanno…

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…Oggi giornata di sole splendente. C’è animazione in piazza, quasi un brusio festivo. Si aspetta oggi a Ponza l’architetto Francesco Carpi, che viene a visionare le opere che si stanno realizzando. Fatto eccezionale. La sua presenza qui è rarissima. A mezzogiorno viene sparato un colpo di cannone a salve dalla Torre del porto, per salutare l’illustre ospite. Ad attenderlo il comandante e il costruttore capo e pochi altri. Mi accodo anch’io. Lo saluto e lo trovo dimagrito e  molto invecchiato. E’ anche stanco del viaggio. Osserva con attenzione i lavori e i suoi occhi sembrano ora brillare di nuova luce. Lo osservo prendere febbrilmente appunti su un taccuino, far misurare, farsi dare le profondità rettificate della Rada. Lo accompagniamo alla Ravia, uno scoglio massiccio antistante il porto. Vorrebbe far chiudere lo stretto passaggio che la separa dalla costa, per creare un riparo maggiore per la zona di Giancos e di Santa Maria. Alla fine della perlustrazione saluto tutti e accetto l’invito a pranzo per l’indomani alla Torre…

*** 

…Questa notte ho sofferto d’insonnia. Nei pochi momenti che riuscivo ad assopirmi, mi sembrava di vedere Luisa venirmi incontro e porgermi un grappolo d’uva secco e guasto. Un sogno e un dormiveglia che mi hanno sfiancato. Mi sono vestito e sono uscito sul balconcino della camera. Il porto giaceva in una luce grigia e le poche lampade ad olio emanavano un soffuso alone giallognolo, che rendeva il paesaggio ancora più tetro. Di fronte, nell’ansa di Santa Maria, si vedevano alcuni lumicini: erano i contadini che di buon’ora partivano per le loro terre. Quanta volontà, quanta necessità, quanti sacrifici! Un cane lontano abbaiava stanco, e rendeva ancora più triste la scena. Poi il silenzio è stato totale. Si udiva solo il lentissimo sciacquio del mare che gorgogliava tra le travature del porto in costruzione. Un pontone, che aveva la cima allentata, toccava col movimento dell’onda la banchina, producendo un rumore sordo, come di smottamento di terra. Sono tornato a letto, mancavano ancora molte ore all’alba e sono caduto finalmente in un sonno ristoratore…

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…L’architetto Carpi mi ha circondato di molte premure. Sapendo della mia delicata missione a Ponza, non ha osato farmi domande, neanche quando ci siamo trovati da soli. E’ un uomo strano. Tiene ad una forma d’eleganza un poco fuori moda. E’ sicuramente un ingegno vivo, acuto. Anche se a volte dà l’idea di aver sbagliato monarca e tempo in cui vivere e operare. Il pranzo è stato interrotto da un pescatore che, per farsi bello con il comandante, ha portato in regalo tre aragoste vive in un cesto. Ha esclamato ad alta voce di mangiarle alla nostra salute. Ma la scena, sicuramente concertata, non ha avuto l’effetto sperato perché era troppo evidente l’affettazione. Alla fine del pranzo Carpi ha tirato fuori un taccuino e me lo ha mostrato. Erano gli schizzi che rappresentavano un allargamento e un completamento del porto con un braccio che partiva dalla collina del Turone. Mi ha chiesto cosa ne pensassi. Gli ho semplicemente ricordato che il porto, da lui stesso progettato, era stato voluto dal re per dare rifugio a pochi legni da guerra, per la sicurezza strategica del Regno. E che un allargamento avrebbe agevolato non solo la sicurezza, ma anche la vivibilità dei coloni. Solo alla fine ho notato che aveva le mani sporche d’inchiostro, segno di lavoro notturno…

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…Zia Concetta, in un eccesso di confidenza, mi ha detto di guardarmi dal Comandante. Poi, alla mia richiesta di spiegazioni, ha taciuto e m’ha fatto un segno della testa, come a dire, ho pure detto troppo, a buon intenditor! Questa mattina le ho dato l’affitto del primo mese per la camera. Le ho consegnato la piccola somma e sono stato ad osservarla. E’ rimasta ferma, poi, come svegliandosi, ha afferrato le monete e senza contarle le ha chiuse in un fazzoletto, che ha riposto in una tasca interna del grembiule. Solo allora mi ha chiesto se ero contento della camera. Alla mia risposta affermativa, mi ha preso la mano come per baciarla e mi ha ringraziato. Mi è sembrata un po’ più vecchia. O era la luce del sole che cominciava ad incendiare il cielo, calda e violenta, che metteva maggiormente on evidenza le sue rughe. Dopo un mese mi ci sono ormai affezionato, quasi senza accorgermene…

*** 

…Gli isolani hanno portato con loro le abitudini dei paesi di provenienze. E spesso anche i difetti. Sono molto litigiosi e sottilizzano attenti ad ogni più piccola sfumatura del linguaggio. Una parola dialettale pronunciata in un certo modo, che a me sfugge, può essere causa di un contrasto, perché è vista come una beffa. Il dialetto, che è quello napoletano, qui mi sembra venga utilizzato con ritmi più lenti. Sono forse le cadenze dell’isola che rallentano anche la parlata. La stessa Zia Concetta, quando parla, tira fuori le parole solo dopo averle ben masticate in bocca. Tutti sono molto accorti nel manifestare il proprio pensiero e temono l’autorità. È tutta gente sradicata, senza entusiasmo, come condannata ad una esperienza dolorosa. Un esilio che, non potendo dare prospettive, non può offrire alcuna serenità. Eppure, a guardarli bene negli occhi, scopri in questi uomini coraggiosi una volontà antica e orgogliosa, risoluta e muta, che a volte fa paura. Chi si occuperà di queste sofferenze, della loro fatica, di sforzi che non lasceranno memoria? Zia Concetta, con la sua saggezza, quando gli pongo la questione delle condizioni degli isolani, mi risponde severamente che la storia è scritta dai ricchi con il sangue dei poveri.

La primavera ormai sta per lasciare il posto all’estate. Le giornate sono sempre più calde e l’odore del mare si confonde con quello dei mille profumi della campagna. La gente sembra più viva e attiva. Il mio lavoro nascosto prosegue e tra un mese dovrò andare via, con la relazione al Re. Sono sempre di più quelli che mi suggeriscono notizie utili, forse perché sperano che io possa fare qualcosa per loro. E ho dolore di lasciare Ponza. Ho parlato con molta gente, ne ho capito l’animo, ne ho apprezzato l’umiltà. Zia Concetta ormai fa parte dei miei affetti. E già soffro al pensiero della partenza …

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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