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I Miracoli di San Silverio - seconda parte - Ass. Cala Felci

I Miracoli di San Silverio – seconda parte

Da un libricino di devozioni scritto dal Sacerdote don Luigi Coppa nel 1921

Secondo alcuni autori dell’Acta Sanctorum (Opera ciclopica che elenca i santi della chiesa cattolica), la lapide del santo almeno fino ai primi del 1600, era ben visibile. Nello scritto, si afferma infatti, che sulla lapide del santo, presso cui si recavano ammalati ed infermi, si leggeva quanto segue:

Romae supremus apex Silverium aedis ossa sub hoc retinet mortuus extraneo.

Sommo Pontefice della Romana sede, morto, tiene le sue ossa sotto questo marmo straniero.

Queste affermazione e questa frase, nonostante la fonte fosse attendibile, non hanno mai avuto un riscontro reale, dovuta al fatto che nessuno avesse saputo descrivere dove fosse ubicata la tomba. Se fosse così si avvalorerebbe anche l’ipotesi di Daniel Papebroch, anch’egli facente parte degli autori dell’Acta Sanctorum. Infatti Papebroch afferma che le reliquie del santo non sono mai state traslate dall’isola. Se queste ipotesi dovessero risultare esatte, le spoglie del Santo potrebbero essere andate definitivamente perse. Lo scempio, commesso prima dai pirati siriani nell’813, dai coloni poi ed in ultimi analisi dalla moderna aggressione edilizia, potrebbero aver causato un danno irreparabile. Le spoglie del Santo, potrebbero essere state prese dai pirati e quindi bruciate o gettate in mare, poiché da alcuni documenti storici, risulta che le chiese dell’isola vennero rase al suolo. Potrebbero però, ipotesi molto probabile, ed ancor più agghiacciante per l’epoca in cui sono avvenuti i fatti, essere state sommerse dal cemento o gettate chissà dove, come resti di lavori di scavo, dai più o meno moderni coloni dell’isola, non troppo attenti ai beni archeologici.

Altra ipotesi interessante è quella fornita da alcuni studiosi del Santo. Molti affermano che le spoglie di San Silverio potrebbero essere state portate via anche dai monaci in fuga. Se l’ipotesi dovesse risultare fondata, le spoglie del santo si potrebbero trovare in uno dei tanti monasteri fondati dai monaci fuggiaschi, tumulati in una tomba sotto nome generico per proteggerli da eventuali profanazioni. Il problema è, dove cercare? E se anche si riuscissero a rintracciare i movimenti di tutti i monaci, il dubbio è che molti di essi si stanziarono lungo la costa, e furono soggetti ancora ad attacchi e depredazioni da parte dei pirati.

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In una ricerca storica risultò che nell’anno 817, Papa Pasquale I ristrutturò quasi nella totalità la Basilica di S. Prassede in Roma, dove vi collocò le spoglie di numerosi martiri. Da ulteriori e più approfonditi studi, si scoprì che quelle tombe vennero usate per accogliere i resti di quei martiri le cui tombe erano state saccheggiate o che comunque erano in condizioni di completo abbandono. Studiando gli scritti sulle lapidi, si scoprì che i nomi di alcuni martiri, qui seppelliti, provenivano dai cimiteri Ponziani. Tra di essi fu trovato il nome di “Candidae”, e cioè l’attuale Santa candida patrona di Ventotene. Questo ritrovamento provava che Papa Pasquale estese l’opera di traslazione dei santi anche nelle isole Ponziane. Purtroppo la ricerca a San Prassede non portò a nient’altro, anche perché con molte probabilità S. Silverio era stato tumulato tra i santi che in vita rivestivano importanti cariche ecclesiastiche. La ricerca continuò, perché anche dei resti della patrona di Ventotene non si sapeva più nulla. Purtroppo le uniche notizie incoraggianti, si limitano al fatto che nella stessa basilica vi sono sepolte le spoglie di ben 12 papi. Su queste lapidi però non vi è nessun nome, e questo fa pensare che fossero riservate a coloro che ancora non avevano una posizione ben chiara nella storia apostolica. San Silverio, negli antichi archivi custoditi in S. Maria Maggiore, viene considerato addirittura come Antipapa. Solo negli anni precedenti all’istituzione della festa e cioè più di 10 secoli dopo la sua morte, ne fu chiarita la posizione definitivamente, quindi una sua sepoltura in quelle tombe senza nome non è da escludere.

 

Secondo il Liber Pontificalis, dopo la sua morte, i fedeli che visitavano la sua tomba già lo invocavano. In tempi successivi fu venerato come santo. La prima prova di questa venerazione si trova in un elenco dei santi dell’XI secolo (Mélanges d’archéologie et d’histoire, 1893, 169).

Anche il Martyrologium di Petrus de Natalibus del XIV secolo, contemplava la sua festa che, nel vigente Martirologio Romano, ricorre il 2 dicembre.

La nomina di S. Silverio a patrono dell’isola, avvenne nel 1772 ad opera del Vescovo di Gaeta Mons. Carlo Pergamo. Il vescovo accostò alla figura di San Silverio anche la Santa, vergine e martire Flavia Domitilla (I° secolo D.C.), nipote del pretore romano Domiziano, anch’essa relegata esule a Ponza e poi bruciata viva in quella che con il tempo diverrà l’attuale Terracina.

Le date dei festeggiamenti, sono strettamente correlate alle date della nomina a Papa (8 Giugno del 536) e della nomina a vescovo di Roma (20 Giugno del 536). Queste date, sono anche molto vicine al periodo in cui Papa Silverio esule, mise per la prima volta piede a Ponza, cioè nel mese di Giugno.

Il luogo dell’esilio di San Silverio è stato per anni identificato nell’isola di Palmarola. Il dubbio sul luogo della morte e dell’esilio però, è stato creato negli anni, quando dalla comune leggenda isolana si è passato ad uno studio più approfondito della vita del Santo. Inoltre in considerazione del fatto che come isole palmarie, non si identificava solo Palmarola e gli scogli limitrofi, ma l’arcipelago al completo con addirittura Ventotene. Nei documenti storici arrivati ai nostri giorni, si parla, per l’esilio di San Silverio, infatti solo delle “isole palmarie “. Inoltre i resti dei conventi dedicati a Santa Maria si trovano su l’isola di Zannone che per anni è anche stata chiamata “l’isola Santa Maria” che poi è stato abbandonato per essere ricostruito in quella che ora è la moderna contrada dell’isola di Ponza che appunto si chiama Santa Maria. Gli unici resti che i monaci hanno lasciato a Palmarola a tutt’oggi fanno pensare che siano stati costruiti dei rifugi stagionali con una piccolissima chiesa, ma non un vero e proprio convento, e non vivibili per poco più di qualche giorno, per magari raccogliere frutta ed erbe medicinali. E si può dire con sicurezza che il santo non non fu mai abbandonato sull’isola in questione, ma era ben controllato. Appunto perchè le isole erano colonizzate dai monaci che avrebbero potuto farlo scappare.

San Silverio giunse sull’isola nei primi giorni di giugno del 537. E’ da considerare che in quel periodo, San Silverio doveva avere all’incirca 60 anni, un’età avanzata per l’epoca. Con molte probabilità, sofferente di diverse patologie anch’esse normali per l’epoca, il clima umido e la vita spartana che si faceva sull’isola, non favorì il suo soggiorno. Il 21 novembre del 537 dopo pochi mesi sull’isola Papa Silverio si spense. La morte del Pontefice, come rilevato in alcuni scritti (Storia Arcana) di Procopio (Storico di guerra del generale Belisario), con fondati dubbi fu violenta e non dovuta alle condizioni ambientali. Papa Silverio fu ucciso, poiché anche se le sue condizioni fisiche lo avrebbero portato ben presto alla morte, era meglio affrettare i tempi. Alcuni vescovi a lui fedeli infatti, oltre che opporsi all’autorità di Virgilio con un forte ostruzionismo, stavano cercando di far emanare da Papa Silverio un decreto di scomunica nei confronti dell’antipapa Virgilio. Questo provvedimento, avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche. La preoccupazione di uno scisma nella chiesa e sopratutto, la paura di insurrezioni interne alle mura di Roma; portò al complotto clerico-bizantino che si concluse con l’assassinio del Pontefice ad opera (Sempre secondo Procopio) di uno dei delegati che l’accompagnava. Secondo precisi riferimenti storici, le spoglie di San Silverio vennero tumulate nella chiesa benedettina di S. Maria, posto eremo ed a molti sconosciuto ma di una sua eventuale traslazione come è accaduto per molti papi non vi è traccia. Tutto ciò, per evitare, che venissero portate in vaticano ed esaminate, ma sopratutto che l’ubicazione della sua tomba fosse resa pubblica e quindi luogo di pellegrinaggi ed eventuale simbolo di scisma della Chiesa e sopratutto della città di Roma.

 sac luigi coppa                                                                                          sac. don Luigi Coppa nel 1929

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