Grazie, è il più nobile dei sentimenti.
Antonio Coppa
È morto Antonio Coppa, per tutti Tony.
Sono tornato a casa, quasi fuggito, tra la paura e il dolore, e soprattutto con quel sentimento dell’insignificanza e di disperazione, che è l’esistere umano.
La sua condizione.
Allora faccio uscire dal mio apparato acustico la musica dei Pink Floyd, uno dei suoi gruppi musicali preferiti. Andò da Ponza a Londra, a Venezia, per ascoltarli dal vivo.
Ad alto volume affinché tutti sentissero.
Gli umani e le stelle. Il mare, la sua barca, i suoi pesci. Un Requiem.
Ho perso un amico con cui parlare e condividere.
E un senso di disperazione e di brividi si impadronisce del mio corpo.
Tutto mi appare inutile.
Cesare Pavese scriveva: della condizione umana non ci rimane che la memoria che portiamo, la memoria che lasciamo.
L’uomo lascia la memoria. Ed è l’unica cosa che rimane.
Un amico, un uomo, è partito per il suo ultimo viaggio.
Antonio Coppa lascia dietro di sé la sua memoria.
Una grande memoria. Indelebile.
Agli amici, ai parenti, a tutto il popolo di quest’isola.
Ma anche al mare, alle rocce.
A cui era legato da un profondo amore per la libertà e gli spazi del silenzio infinito.
Antonio Coppa ritornò da New York quando era bambino.
E subito entrò tra noi coetanei e non solo, con la sua grande ricchezza umana e culturale.
Ma soprattutto musicale.
Noi allora ragazzi di Ponza non conoscevamo che i cantanti di Sanremo.
Lui da New York portò la grande musica, il rock e il jazz, e fu una rivoluzione.
Nel magazzino abbandonato del padre, apri a tutti noi un circolo.
Lo chiamò Gewgaw club, ossia la bagattella.
Ci mise ai muri manifesti giganti, dei Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin, Procol Harum, Carlos Santana. Al centro un tavolo di ping-pong.
Aveva un piccolo giradischi a 45 giri che suonava tutti i pomeriggi e le sere, in ogni stagione.
Erano gli anni di Obladi oblada dei Beatles, e di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum.
Un’intera generazione è vissuta musicalmente, e non solo, in un ambiente sano e artisticamente evoluto.
In quell’ambiente Antonio Coppa fece partorire il primo e unico complesso Rock a Ponza, il Vuoto a perdere.
E un’intera generazione d’isola, visse anni sognando un mondo migliore, un’isola migliore.
Ponza divenne la nostra isola di Wight. Suonavamo, facevamo teatro, amavamo liberi. Desideravamo la conoscenza. Conoscemmo la bellezza.
Gli anni migliori della nostra vita, potremmo dire.
Antonio Coppa lascia un vuoto nella mia generazione.
E la consapevolezza che non solo l’umano è destinato alla fine, ma è tutta un’ isola, che un destino feroce, accompagna alla fine.
Per chi sarà la memoria che portiamo, che lasciamo?
Finisce il tempo bello d’una esistenza, di un modo di vivere, di un sogno.
Di una libertà, e la sua illusione. Della meraviglia.
La perdita di un amico per me è cosa tragica, e tutto non è più come prima.
Con Antonio Coppa se ne va una parte di Ponza che tutti abbiamo amato.
E tutti ora abbiamo perso.
Non ci rimane che la rivolta, siamo tutti uomini in rivolta, già dalla nascita.
La rivolta contro il destino, quella Rivolta che Albert Camus indicava all’uomo contemporaneo, come fonte dove attingere il pensiero e la forza, per continuare ad esistere in una natura maligna.
Nell’antica Grecia il lutto, dopo le lacrime, si manifestava con la gioia.
Un inno alla vita.
L’uomo aveva vissuto, e aveva dato tutto il meglio di sé, della sua vita.
Aveva dato la vita ai suoi simili, attraverso le gesta, l’amore, il coraggio, l’atto di vivere.
Il suo eroismo. Ogni uomo è un eroe, solo al fatto di aver vissuto.
E l’uomo lo ringrazia.
E dire grazie è il più nobile dei sentimenti.
Così faccio oggi io.
Grazie di essere esistito caro amico.
Grazie per tutto quanto mi hai dato, ci hai dato.
Una parte della mia vita con te è stata più bella.
Abbiamo sognato.
Pensando a Bertold Brecht, dico che ci sono persone indispensabili alla vita di tutti. .
E anche una piccola comunità di isola, fatta di poche persone perbene, oneste, umane, ha bisogno di indispensabili.
E tu eri un indispensabile. Da vivo come da morto.
Caro amico, me ne sto in un angolo della nostra isola.
In un luogo appartato della mia coscienza, del mio esistere quotidiano, da dove ti saluto in silenzio.
Perché per i poeti, solo il silenzio esiste.
Il silenzio parla agli Dei, l’irraggiungibile.
Antonio De Luca