- Domani mattina usciamo a castaurielle. Va a dormì ambresse pecchè dimane ‘u ualle cante matine – mi disse mio padre mentre stavamo cenando. Significava che mi avrebbe portato a pescare le costardelle con lui. Non succedeva spesso. Non voleva che facessi il pescatore come lui, ma diceva che mi dovevo fare lo stomaco marinaro: ovvero andare per mare senza vomitare pure l’anima, come in quel tempo mi capitava. E secondo lui bisognava allenarsi e andare ogni tanto in barca con lui era un buon modo per superare il mal di mare.
Avevo dieci o undici anni, finito le elementari e frequentavo la scuola di avviamento professionale ad indirizzo marinaro. Era l’unica scuola secondaria che c’era in quel tempo a Ponza. L’avevano istituita da pochissimi anni , la consideravamo una grande conquista:potevi fare “il padrone marittimo”, ovvero condurre navi di piccolo cabotaggio all’interno del Mediterraneo, oppure iscriverti ad una scuola superiore sostenendo un esame integrativo di latino.
Durante la notte dormii poco. Ero eccitato dalla prospettiva di passare tutto il giorno in mare. Anche se bastava un po’ di onda lunga perché dessi da mangiare ai pesci. Andare per mare mi piaceva. Il mio sogno di allora era frequentare l’Istituto Nautico e navigare tutti mari del mondo. La prima parte del sogno l’ho realizzata, la seconda no. La mia nave è rimasta sempre ancorata in porto.
Era ancora buio quando mamma venne a svegliarmi con una tazza di latte. Saltai dal letto, bevvi il latte tutto di un fiato e fui pronto in un battibaleno.Mamma mi preparò un pezzo di pane con tonno e pomodoro e una bottiglia con tappo automatico piena d’acqua fresca.
- Quando hai sete bevi questa e non quella della mummola che papà ha a bordo chissà da quanto tempo.- mi disse a bassa voce accompagnandomi alla porta.
Quando arrivammo al porto, c’era già ‘Ngelone, l’altro membro dell’equipaggio, che con l’aria insonnolita ci aspettava, seduto su una bitta a prua del gozzo di papà: “La Sirena” un 36 palmi (circa 9 metri) con un motore monocilindrico Bolinder a testa calda.
Ancora oggi resto affascinato dal ricordo di quel mitico motore. Si avviava a manovella dopo aver scaldato la testata con un apposito bruciatore che chiamavano lampada. L’operazione durava circa 15 minuti alla fine dei quali la testata del motore diventava incandescente e si poteva metterlo in moto. Ricordo ancora i calamaretti appena pescati e cotti sulla testata del Bolinder che sapevano di nafta e olio. Eppure pagherei per poter rivivere quei momenti e mangiarne ancora qualcuno.
Quando lasciammo il porto, il mare era liscio come l’olio e sull’orizzonte a levante si cominciavano a vedere i primissimi bagliori dell’aurora. In un angolo a poppa ‘a castavellara , era ben arrotolata e lista, mentre a prua due cassette piene di pietre erano disponibili alla bisogna:tutto era pronto per la pesca delle costardelle. Bisognava solo trovarle. Papà decise di provare verso sud-est e mise la prua tra lo scoglio della Botte e la punta del Faro della Guardia.
La costardella o castaurielle come sono chiamate in dialetto è un pesce azzurro con il corpo affusolato e allungato da un becco tipo aguglie, di colore blu acciaio con riflessi verdi. E’ una specie pelagica che vive in branco e nuota in superficie. Sono voraci carnivori e si nutrono esclusivamente di organismi planctonici, piccoli crostacei, larve di pesci e di molluschi, stadi giovanili di clupeidi e di altri pesci. Al momento della riproduzione si avvicinano verso terra, ma non giungono mai in vicinanza delle coste, tranne se inseguiti da predatori (tonni, delfini, etc.). Quando sono cacciate, cercano scampo saltando fuori dell’acqua.
La ricerca del branco non era cosa facile. Ci voleva vista buona ed occhio esperto per individuare quel tratto di mare dal colore un po’ diverso e lievemente increspato dal branco di costardelle che si muoveva a pelo d’acqua. Molto spesso però capitava che i delfini o gli uccelli marini – che si nutrono di questi pesci – aiutavano il pescatore ad individuare il branco. Appena la luce del giorno prese pieno possesso della superficie del mare, mio padre lasciò il timone a ‘Ngelone e si mise ritto sulla prua a scrutare l’orizzonte in tutte le direzioni per avvistare i castaurielle.
– e fere, e fere, mezzo miglio a dritta – gridò papà. Era quasi mezzogiorno e finalmente avevamo trovato le costardelle, aiutati da un branco di delfini , anzi per essere precisi si trattava di stenelle o fere come venivano chiamate in dialetto. La barca puntò diritto sul branco di fere che stava banchettando con ‘i castaurielle.

Franco Schiano
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